Memoriale dell'assedio a un castello gonfiabile

Per motivi difficili da spiegare sono mio malgrado costretto a passare un pomeriggio in una ludoteca per bambini di età inferiore agli anni 5, qui riuniti per celebrare il compleanno di un loro coevo. Il luogo in cui ci troviamo è una sala di circa cento metri quadrati, presa a nolo dai familiari del festeggiato, e consiste in un recinto dotato di attrazioni quali un castello gonfiabile, alto tre metri con scivolo incorporato, e in una grande struttura a gabbia, una specie di voliera suddivisa a sua volta in una piscina di sfere in plastica variopinta e altri ambienti collegati tra loro da cunicoli e chiusi da pareti morbide in modo che i giovani frequentatori possano esercitarsi nelle più pericolose acrobazie, o nella lotta, senza dover ricorrere né all’intervento di parenti né al pronto soccorso. Più in là scorgo un buffet imbandito di pizza al trancio e dolciumi dall’aspetto malsano.

Inoltre, a latere delle amenità qui sopra elencate, ecco un erogatore di tatuaggi adesivi a pagamento (un’esca per bambini), uno di dinosauri giocattolo a pagamento (per bambini) e uno di caffè, pure lui a pagamento (questo invece riservato agli adulti mentre attendono che la festa, se così vogliamo chiamarla, abbia termine). Gli altoparlanti diffondono a ciclo continuo due canzoni, sempre le stesse due, di un noto rapper sudcoreano. Mancano solo gli psichiatri e poi siamo a posto.

Di fronte alle strutture ludiche sono posizionate le panchine per i genitori che quindi sono costretti a fare amicizia tra loro mentre sorvegliano i piccini urlanti. Naturalmente lo scrivente è più che mai deciso a respingere gli assalti di qualsivoglia contatto sociale con altri padri. Al contrario di costoro, infatti, io indosso occhiali da sole (per proteggermi dal neon oltre che dalle persone) e auricolari che, come al solito in queste occasioni, sparano a pioggia le Variazioni Goldberg di Bach nella seconda interpretazione di Glenn Gould, e se questo ancora non bastasse a dissuadere incauti conversatori, ho portato con me i Guermantes, nel senso del terzo volume di Alla Ricerca del Tempo Perduto di Marcel Proust, lettura nella quale ostento di essere sprofondato e da cui ogni tanto stacco lo sguardo di uno solo dei due occhi, per qualche secondo, unicamente allo scopo di verificare che il minorenne, di cui sono mero accompagnatore e autista, sia ancora vivo, o che la festa non sia giunta al suo decorso.

Insomma, è praticamente impossibile che qualcuno voglia avvicinarsi a me senza aver paura.
Ma sarà davvero paura quel sentimento che costoro provano nei miei confronti?

7 Comments
  1. ilcomizietto

    Io ti abbraccierei.

    La prima (e ultima volta) che ci sono andato io c’era un tale rumore che stare appeso ad una turbina di un A380 in decollo sarebbe stato l’equivalente di un silenzio tombale. Sono uscito che mi fischiavano le orecchie. Resisti! E non cascarci più in queste trappole!

    • confuso

      Gli auricolari sono una grande invenzione.

  2. MrVektriol

    “Ma sarà vera paura quel sentimento che provano nei miei confronti?” Uh, penso che la sola presenza di un libro aperto tra le Sue mani L’avrà più verosimilmente fatta classificare tra quegli eccentrici che solitamente in autobus si simula di non vedere, nel timore di essere coinvolti in qualche conversazione indesiderata o modesta seccatura.

    • confuso

      Forse non è paura ma ribrezzo.

      • MrVektriol

        Non è questo, è diffidenza. Che ciò riguardi i Guermantes non fa particolarmente onore all’umanità ma è un epifenomeno, il fenomeno essendo il libro aperto (non potevano sapere che Lei, perdipiù, ascoltava Goldberg/Gould2).

  3. Pippo

    Ma mi si nota di piu’ se ci vado o non ci vado?

  4. skienadritta

    Mi si nota di più…

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