Finis Poloniae

“Finis Poloniae.” Così ha risposto stamane il farmacista del negozio sotto casa mia alla signora anziana che gli domandava con caparbietà per quale motivo la sua medicina preferita fosse uscita definitivamente e soprattutto senza preavviso dal mercato. Insomma perché mai l’azienda produttrice avesse deciso di non produrla più e buonanotte.

Costui, il farmacista, ha pronunciato queste due parole, “Finis Poloniae” con gravità, allargando le braccia in un gesto da cerimonia religiosa. Io assistevo alla scena e pensavo tra me che non è facile, di mattina presto, ribattere a un farmacista che ti spiazza con un “Finis Poloniae” a sorpresa. Appunto la signora non trovava parole adatte, e anziché pretendere la traduzione o prendere a schiaffi l’interlocutore, se ne è andata. Quasi senza salutare, forse (ma posso sbagliarmi) borbottando una colorita espressione dialettale indirizzata alla mamma del farmacista stesso.

Dopo l’episodio mi son documentato e ora posso svelare – vantandomene inutilmente – che “Finis Poloniae” significa “fine della Polonia”, come i più arguti latinisti fra voi avevano già intuito.

La frase fu pronunziata molti anni fa (molti anni prima che la pronunziasse il farmacista)  ossia venerdì 10 ottobre 1794 verso le 17.45 a Maciejowice,  in Polonia, appunto, dal generale indigeno Tàdeùsz Kościuszko, al termine della furiosa battaglia fra pochi polacchi malridotti e un esercito sei volte più grande composto da russi invasori crudeli e assetati di sangue.

La battaglia era terminata e al momento di declamare il motto che per secoli lo renderà celebre in tutto il globo (fuorché nelle farmacie di Lambrate), il Kościuszko si trovava circondato dai cadaveri dei suoi soldati e da orde di nemici desiderosi di scuoiarlo benché avessero l’ordine di limitarsi alla cattura. E lui, con un colpo di genio, si mise a parlare in latino. Anche allora nessuno capì.  Ma il generale costui aveva ragione: per i successivi centoventitré anni la Polonia cessò di essere una nazione.

Secondo i vocabolari, la locuzione “Finis Poloniae” oggi indica una rovina oramai avvenuta nella sua irreparabilità, e al tempo stesso un problema tutto sommato marginale, una preoccupazione per gente dappoco.

Dice: bello ma a noi che ce ne frega, scusa? Niente, ma tant’è.

4 Comments
  1. Mr Vektriol

    “Secondo i vocabolari, la locuzione “Finis Poloniae” oggi indica una rovina oramai avvenuta nella sua irreparabilità, e al tempo stesso un problema tutto sommato marginale, una preoccupazione per gente dappoco.”
    Trovo che sostituendo “Finis Poloniae” con “Finis Italiae”, potremmo non solo rinfrescare la bronzea perennità del latino, ma anche alatamente definire l’attuale stato della nostra ex Nazione.
    Anche se verosimilmente ispirata dalla calura, degna di nota la risposta del dotto farmacista.

  2. Firmato Ckf

    io non ho capito che ci fa un farmacista schiacciato dalle fondamenta, cioè, come c’è finito sotto casa sua?

    • confuso

      è un reperto archeologico

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