Lapalisse

Basta un piccola svista, a rovinare per sempre la reputazione di una persona. Se però la svista, il refuso, viene commesso da altri, allora la cosa risulta ancor più seccante.

Di Monsieur de Lapalisse mi ero fatto un’idea del tutto sbagliata, l’avevo sempre figurato come un borioso aristocratico del Settecento, famoso a corte per l’inconsistenza dei suoi discorsi pieni zeppi di ovvietà. Un tipo con parrucca a boccoli, cipria sul naso, nei finti, aria presuntuosa del cretino che non sa di esserlo e di nascosto viene preso di mira dagli altri nobili del salotto, pronti a darsi di gomito e occhiate di intesa quando lui, “quello scemo di La Palisse”, come lo chiamavano fra loro, prendeva la parola. “Ecco, comincia lo spettacolo, chissà quante minchiate dice oggi.”

Avevo anche immaginato la sua fine, sul patibolo della rivoluzione. Prima di accomodarsi alla ghigliottina, sconvolto, avrebbe pronunciato la sua ultima, solenne fesseria in pubblico, suscitando l’ilarità della piazza.

Nulla di più inesatto. In realtà Jacques de Chabannes signore di La Palisse (o La Palice) visse due secoli prima. Non era di sangue blu, ma fu un militare di carriera, giunto al grado di maresciallo, e si guadagnò il titolo nobiliare come compenso. Appena c’era una guerra, il re di Francia lo spediva al fronte. Di solito La Palisse andava, pigliava un sacco di botte e se ne tornava a casa, malconcio. A volte però vittorioso.

Per quarant’anni e passa praticò il mestiere della battaglia. Poi, un brutto giorno, l’epilogo: nel corso di un assedio a Pavia, il valoroso Lapalisse si becca una lancia in testa e ci lascia le penne.

A questo punto, dopo la sepoltura d’onore, doveva essere inciso l’epitaffio, il verso dell’ode funebre dedicata dai soldati. Ma il marmista forse aveva poca dimestichezza con l’ortografia, oppure era un uomo distratto, o spiritoso. Così, anzichè scolpire le parole “Monsieur de La Palisse, se non fosse morto farebbe (con la effe) ancora invidia” (envie, in francese) scrisse “sarebbe ancora in vita (en vie).

Puoi anche aver vissuto come il più coraggioso combattente di tutti i tempi, ma se sulla tua tomba si legge una scemenza come “Non fosse morto, sarebbe ancora in vita”, allora il destino della tua memoria sarà uno solo, quello di essere preso per il sedere, in eterno e sempre. E così accadde.

L’ingenuità della sua lapide suscitava più risate che lacrime o saluti marziali. Un secolo dopo, il poeta e letterato Bernard de la Monnoye intitolò a Lapalisse una canzone dove lo dileggiava come campione per antonomasia della banalità e dello scontato. Il brano ebbe gran successo. Da allora in avanti, e per il resto della Storia, il defunto maresciallo verrà ricordato soltanto per l’aggettivo cui diede la vita senza volerlo.

17 Comments
  1. utente anonimo

    che triste destino!
    ma pensa a chi, spero fra pochi anni, verrà solo più associato al "bunga bunga"!
    forse è peggio.

  2. utente anonimo

    Eh ma la tragedia sara' che, invece di vergognarsene amaramente, se ne fara' gran vanto, il demente.
    schatten

  3. zauberei

    E' una storia meravigliosa. e secondo me apre delle possibili vertigini filosofiche, in quelli che vi cercano uno spiraglio. Per esempio io conoscevo uno che non era morto, ma anche come vivo non direi che appartenesse alla categoria ecco.

  4. utente anonimo

    fantastica storia. mi ha illuminato la giornata!

  5. FirmatoCkf

    ma è sul serio così???

    Poverino, una vita sfortunata… comunque al giorno d'oggi lo chiamano Capitan Ovvio!

  6. exxxanonimo

    Bè, alla fine non gli è andata così male… continua a vivere nei vocabolari.

  7. utente anonimo

    che magnifica storia. grazie, se non l'avessi scritta non avrei potuto leggerla.

  8. utente anonimo

    Molto interessante! Però c'è da dire che una volta che sei morto… che ti frega di quello che dicono i vivi? Di certo non sei lì ad ascoltarlo!

  9. utente anonimo

    eh eh eh

  10. Famiglia_von_Borderline

    Affascinante!

    Però, sì, ecco, le domando…  davvero verissimisssssimo così?

    Beh, che dire, fortuna che c'è lei qui ad  impararci  'ste cose!

  11. utente anonimo

    Personalita’ Contusa 🙂

  12. franz

    Bell’articolo! Ci sarebbe tuttavia un’inesattezza: non é vero che quello che ha scritto l’epitaffio non sapeva scrivere, semmai nel’ 500-‘700 la s era spesso trascritta come f (v. “illuftriffimo signore”). Se poi le lettere erano un po’ staccate tra di loro, ecco che la frittata é fatta!

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