ODE ALLE PICCOLE STAZIONI FERROVIARIE

Amo le stazioni ferroviarie, ma non quelle delle grandi città, piene di gente e di negozi: preferisco le stazioni dei paeselli, quelle abbandonate a se stesse, dove la biglietteria è stata chiusa nel 1980 per essere sostituita da un distributore automatico che però ha funzionato solo due giorni.

Mi commuovono le obliteratrici in disarmo. Arrugginite e prive di inchiostro, eppure stanno là al loro posto, ogni giorno: sanno che è obbligatorio, altrimenti i controllori sul treno non potrebbero dare la multa ai viaggiatori che non hanno timbrato.

Provo tenerezza per i cartelli invecchiati male, “vietato attraversare i binari, utilizzare il sottopasso”. E per l’archeologia della fontana per bere prosciugata da sempre. Le pareti della sala d’aspetto di tre metri quadri con le loro scritte indicibili, le dichiarazioni d’amore di studenti, le chiacchierate a spray tra tifosi di squadre avverse.

E il deserto. Non c’è nessuno, solo tu. Sulla banchina una voce registrata continua imperterrita ad abbaiare che bisogna allontanarsi dalla linea gialla perché sta transitando l’interregionale delle sedici e quindici, in ritardo di otto ore, e ce ne scusiamo coi passeggeri.

31 Comments
  1. MonsieurIdiota

    ah, quindi sono chiuse. L’altoparlante è solo un efetto suggestivo: è un museo.

  2. VivoSullePunte

    quelle stazioni che poi sono così calme e ti riportano ai loro tempi d’oro…

  3. utente anonimo

    Quest’estate nell’ultima stazione di un ramo in uso solo pochi mesi (due treni al giorno, la stazione vive solo in quei momenti, si apre il bar, i bus passano due volte…) mi son lasciata sfuggire “È la più bella stazione che abbia mai visto!”. Fuori la campagna, sorrideva sotto i baffi assolati consapevole…

  4. utente anonimo

    Così strampalato da essere tristemente vero.

    Ci sono però stazioni ancora vive, anzi resuscitate dall’aldilà, grazie alla crisi economica e alla salita del petrolio. E grazie ai pendolari, che negli orari giusti riempiono le carrozze all’inverosimile. Sono loro, silenzioso esercito, che tiene in vita le Ferrovie dello Stato, altro che “Freccia Rossa”, altrimenti morte e sepolte o comprate dalla Deutsche Bundesbahn.

    Da un po’ di tempo, uso il treno in accoppiata con la bici per andare al lavoro, divertimento allo stato puto, altro che inscatolato in auto! Ho scritto anche un post:

    http://dariocavedon.blogspot.com/2009/07/uso-sperimentale-del-trasporto.html

    Ciao! D

  5. loscorfano

    Quest’anno, in Francia, ho visto una stazione che consisteva in un cartello con scritto il nome della località e tre sedili tre (di plastica) all’aperto. Nient’altro.

    Allegherei foto, ma c’è la mia fidanzata immortalata sotto il cartello, e lei ama molto la sua privacy.

  6. utente anonimo

    e il Capostazione?

    quando passo per queste stazioni penso sempre a lui, alla sua famiglia. E mi fermo a guardare ed a immaginare quando quella stazioncella era “viva”!

  7. FirmatoCkf

    I treni sono le ultime cose rimasteci del vecchio west, la desolazione dei binari che attraversano zone poco contaminate, paesaggi dove c’è una casa ogni kilometro… e le stazioni abbandonate, tutte chiuse, con l’altoparlate che sì ti annuncia di continuo dove ti trovi – “Stazione di Vattelapesca” – come se tu non lo sapessi… Il vero mistero è perchè arrivarci.

  8. personalitaconfusa

    per non parlare delle stazioncine che non hanno più nemmeno la rotaia, poverette: alcune sono visibili qui.

  9. Julia222

    i posti così mi fanno sentire furoi dal mondo O.o e non sempre è un male

  10. profondoblog

    e i vecchi treni fatti di amianto che ancora pullulano in mezzo ai campi di erbacce dietro alle stazioncine…. aaaaaa, bei tempi!

  11. rectoscopy

    E il deserto. Non c’è nessuno, solo tu e uno stupratore.

    FIXED

  12. utente anonimo

    Un luogo malinconico nel quale si avvertono ancora le voci e le situazioni del passato, dove è dolce sedersi a rilassare la mente. Un luogo dove però, se ti va bene, trovi nei cessi qualche represso sposato che sicuro di non essere visto si lascia andare a un quarto d’ora di verità con te che sei lì che non te l’aspetti e gli apri un mondo fantastico 🙂 Lol. masmassy

  13. utente anonimo

    Grazie del bellissimo sabato trascorso a leggere e a ridere a crepapelle. E a scoprire che sei zeneize, e fglio della Placida Signora! Ho tradotto a mio figlio che non parla italiano il post Mamma, mi ha chiesto se mi conosci.

    A proposito: di Genova era anche Alessandro Fersen (leggi su Google, sei un po’ giovane per sapere chi era).

  14. eppifemili

    e quel rumore di movimento generale.

    di gente e cose che vanno chissà dove….

  15. utente anonimo

    Quelle stazioni dove fra i binari cresce l’erba, ma non erbetta, ciuffi di foglie ma erba alta, piccoli cespugli.

    Quelle stazioni dove, in un silenzio che ti avvolge alle quattro del pomeriggio in una rovente estate, senti arrivare la littorina e mentre ne senti il suono capisci che è ancora molto lontana e va molto piano.

    E che quando la littorina arriva, sopra non c’è nessuno e il ferroviere s’è fermato per miracolo perchè erano anni che non faceva salire qualcuno in stazione.

  16. utente anonimo

    …quelle stazioni dove lo speaker, dal pesantissimo accento cuneese, annuncia gli otto minuti di ritardo con qualcosa in mano, qualcosa che poi crolla al suolo, e si sente “crash” e si sente il bestemmione….!

    …cose realmente accadute.

  17. utente anonimo

    Il pensare od il passare per una stazioncina, per quanto piccola, mi dà un senso di libertà: il poter andare, anche solo con la fantasia, da lì in una qualsiasi parte del mondo…

  18. utente anonimo

    Troppi poeti, mizzica…

  19. utente anonimo

    Caro confuso, è esattamente quello che ho visto alla stazioncina di Castellammare del golfo (TP), la quale, per imponderabili motivazioni che disorientano il malcapitato straniero, si trova ad Alcamo Marina. E’ vero. 
    Anche io restai commossa dall’obliteratrice in disarmo, tutta piena di graffiti di ragazzine (una recitava una cosa tipo "conta solo restare qui tutti insieme"). Era luglio, e con una decina di minuti di ritardo sono salita su un treno fatto di una carrozza sola, con un biglietto SCRITTO A MANO dal bigliettaio. Recitava un avviso all’entrata della stazioncina che quando lo sportello è chiuso, i biglietti si fanno "al tabacchino giù in spiaggia". Poesia.
    Silvia.

  20. zamo

    :'( .. quasi mi commuovo. applausi perchè hai descritto una sensazione quasi universale

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